L'ultimo saluto a don Vincenzino

L'intera città ha reso onore al suo ultimo arciprete

Ha vissuto quasi un Venerdì Santo in anticipo, oggi, la città di San Nicandro Garganico per la solennità con cui sono stati celebrati i funerali dell’arciprete don Vincenzino Palmieri. Le sue intenzioni, elencate in un testamento scritto anni fa, erano ben altre, improntate alla sobrietà. Eppure il suo “lascito” non ha potuto contenere la gratitudine che i sannicandresi, a decine al minuto, sono arrivati a rendergli in chiesa, da ieri sera fino a tardi, a questo pomeriggio, quando hanno gremito la Chiesa Madre e la piazza antistante.

Il feretro disposto ai piedi del presbiterio, rivolto verso la navata come si usa per i sacerdoti, con i lumi intorno, la croce a capo e, poco di lato, il cero pasquale, simbolo della luce del Cristo Risorto. Adagiato all’interno della bara, don Vincenzino pareva riposare, vestito con la pianeta che usava tutte le mattine nella chiesa di San Giovanni. Alla mano destra il crocifisso che portò a decine, centinaia di moribondi per l’estrema unzione e usò per alcuni esorcismi; con la sinistra stringeva il calice delle sue messe mattutine. Il viso appariva oltremodo sereno e austero, come finalmente appagato dalla visione del Padre celeste.

Ai due lati del feretro due confratelli di S. Maria di Costantinopoli e due del SS. Rosario, a fare il picchetto in abiti solenni e con le torce. Circa venti i sacerdoti convenuti da tutta la diocesi, la maggior parte dei quali aveva un rapporto confidenziale e cordiale con lui. «Con la morte di don Vincenzino un pezzo di storia sannicandrese si chiude oggi qui in terra – ha detto nell’omelia il vescovo mons. Lucio Angelo Renna, che ha presieduto il rito – E’ morto da arciprete, perché per i sannicandresi era l’arciprete», ha continuato il vescovo ricordando il simpatico aneddoto in cui, in occasione del suo 60° di sacerdozio, a fine messa, don Vincenzino diede la benedizione al suo posto.

Presenti anche tutte le autorità cittadine, con il sindaco Costantino Squeo ancora in stampelle. «Un cuore largo e buono – ha accennato Squeo che, alla scuola di don Vincenzino, è cresciuto per tutta l’adolescenza – Lo voglio ricordare così, come si ricorda un padre».

Al termine della messa il rito del commiato (foto principale): tutti si sono stretti attorno al feretro, a cominciare dai sacerdoti, alcuni dei quali mal celavano la commozione. Subito dopo l’incensazione e l’aspersione don Roberto De Meo ha voluto dare lettura del testamento spirituale, stilato da don Vincenzino il 26 aprile del 1999 e in cui egli aveva indicato tutto quello che desiderava per il suo funerale: la semplicità, la modestia, l’essere portato in Chiesa Madre (giusto in tempo, si direbbe, essendo da poco terminati i restauri) e, infine, il suono delle campane a festa.

Uno scritto breve e conciso, in cui don Vincenzino ringrazia Dio e la Trinità di tutte le grazie concessegli in vita e, più di tutte, per il dono del carisma sacerdotale, che egli riteneva "il dono più grande". Chiede perdono di tutte le sue mancanze, le colpe, i cattivi comportamenti, a Dio e a coloro che a causa sua hanno potuto soffrire. Infine un'esortazione ai confratelli sacerdoti di seguire sempre più le orme di Cristo e un augurio alle due diocesi di Lucera e San Severo (entro le quali aveva svolto il suo ministero) di sapersi rinnovare radicalmente nell'insegnamento di Cristo.

«Quello che lui ha scritto – ha esordito don Roberto – già fa capire chi era e com’era il suo cuore. Più che come parroco – ha continuato don Roberto commosso e sostenuto dall’applauso dei presenti – parlo come uno di voi. Era un prete d’altri tempi e noi abbiamo imparato da lui cose che, oggi, si dice non servono più. Abbiamo imparato da lui che quando si entra in chiesa si fa la visita al Santissimo Sacramento. Abbiamo imparato da lui che la confessione è importante. Lo abbiamo visto celebrare la messa anche quando aveva l’influenza. Non lo vedevamo in ufficio a fare fotocopie per gli incontri. Entravamo in chiesa, lo vedevamo a confessare, continuamente, ed è quello che ha fatto fino all’altro ieri mattina. Lo vedevamo recitare il Rosario. Io ero piccolo – ha rievocato commosso don Roberto  - ma quando entravo in chiesa trovavo il mio parroco o confessare o recitare il Rosario. Poi, magari, non sapeva fare grandi omelie. Però io, come tanti tra di voi, possiamo dire di avere incontrato un prete».

Commozione generale all’uscita del feretro dalla chiesa portato, scoperto, a spalla dalle due confraternite. Il corteo ha seguito il giro della processione del Venerdì Santo, toccando tutte le chiese, che gli hanno tributato il suono delle campane a festa, con una breve sosta presso la sua S. Giovanni e sotto casa, in corso Umberto I. Un fiume lungo di gente ad accompagnarlo: per la folta presenza di confraternite, gruppi ed associazioni sembrava quasi la processione del Venerdì Santo, o pareva di rivedere le foto d’epoca dei funerali di mons. D’Alessandro e dell’arciprete Pienabarca.

Per strada serrande di negozi abbassate, ceri e lampade sui balconi e riverenze da parte di tutti: nessuno, a San Nicandro, poteva dire di non conoscerlo. Davanti alla chiesa di S. Giovanni le sue anziane fedeli di ogni mattina lo hanno salutato commosse, scuotendo fazzoletti e battendo le mani. Clemente anche il tempo, che ha consentito una tregua della pioggia giusto per il tempo del corteo. Fino al cimitero lo hanno accompagnato anche don Roberto e don Matteo De Meo, don Peppino D’Anello, padre Giuseppe Di Condio e don Michele Rendina, i sacerdoti a lui più legati, con le candele in mano, come antica consuetudine per i funerali.

Il prossimo 21 febbraio, alle ore 18,30 sempre presso la Chiesa Madre, sarà celebrata una messa nel trigesimo dalla morte, come ha annunciato don Roberto. La tumulazione avverrà domattina, presso la cappella di S. Giorgio, nel cimitero di San Nicandro, dove riposerà accanto alla madre adottiva. Con quella lapide, domani si chiuderà una pagina importante ed evidente della storia di San Nicandro e sarà riconsegnato alla terra il corpo di un “sacerdote e un uomo d’altri tempi”, la cui mano ha elargito sacramenti a generazioni intere di sannicandresi.

Matteo Vocale e Staff sannicandro.org

(Foto di Nazario Cruciano)

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