Faida, assoluzione per Giovanditto, inflitti 29 anni a Ciavarella

Per tre omicidi avvenuti nel 2003 di cui rispondevano l'ergastolano Giovanditto e Michele Ciavarella

La corte di Cassazione conferma il verdetto di primo e secondo grado e rende definitive l’assoluzione di un ergastolano garganico e la condanna a 29 anni di un concittadino accusati a vario titolo di tre omicidi, nell’ambito dell’inchiesta stralcio del più ampio processo alla mafia garganica.

Assolto l’ergastolano Gennaro Giovanditto quarantenne allevatore sannicandrese, dall’accusa di essere uno degli autori materiali di altri due omicidi (sconta il carcere a vita per tre omicidi) avvenuti sul gargano: quello di Antonio Daniele Graziano ammazzato davanti ad un bar di Cagnano Varano il 4 maggio del 2003; e quello di Luigi Tarantino, ucciso il 3 settembre 2003 mentre in auto rientrava da Lesina a San Nicandro, delitto ritenuto collegato alla faida sannicandrese tra le famiglie Ciavarella e Tarantino che dall’81 ad oggi ha contato oltre venti tra morti ammazzate e lupare bianche.

Michele Ciavarella, 45 anni, altro allevatore sannicandrese soprannominato "La vacca" si è visto invece confermare la condanna a 29 anni di reclusione per concorso morale sia nell’omicidio Graziano sia in quello di Daniele Scanzano, ucciso a San Nicandro il 16 marzo 2003. Per questi due omicidi fu già condannato in via definitiva all’ergastolo nel maxi-processo alla mafia garganica Matteo Ciavarella, 36 anni, detenuto dal 2003 nipote di Ciavarella, e ritenuto il capo dell’omonimo clan mafioso.

SENTENZA DEFINITIVA – Giovanditto fu già assolto e Ciavarella condannato a 29 anni per questi omicidi dalla corte d’assise di Foggia il 13 dicembre 2011. Sentenza di primo grado appellata sia dalla Direzione distrettuale antimafia di Bari per l’assoluzione di Giovanditto, sia dai difensori di Ciavarella per la condanna. Il 12 luglio del 2013 la corte d’assise d’appello di Bari confermò il verdetto di primo grado, contro il quale c’è stato il ricorso in Cassazione delle Procura generale di Bari contro l’assoluzione di Giovanditto e dei difensori di Ciavarella. La Suprema Corte ha dichiarato inammissibili i ricorsi di accusa e difesa e reso definitive l’assoluzione di Giovanditto, difeso dall’avv. Francesco Santangelo che chiedeva il rigetto e/o l’inammissibilità del ricorso; e la condanna di Ciavarella per il quale la difesa chiedeva l’assoluzione o l’annullamento del verdetto di appello e la celebrazione di un nuovo processo.

L’ERGASTOLANO -  Giovanditto (contro di lui c’erano le parole di una pentita) e Ciavarella (accusato sulla scorta di un’intercettazione ambientale in carcere) si dicono innocenti. Il primo, già arrestato nel blitz del giugno 2004 contro la mafia garganica contrassegnato da 9 arresti, rimase in cella sino al luglio 2008 quando fu scarcerato per decorrenza termini; fu riarrestato nel 2009 e sconta l’ergastolo inflitto nel maxi-processo per tre omicidi (la difesa chiede la revisione del processo, come riferiamo a parte) e per mafia, in quanto ritenuto l’anello di congiunzione tra il clan Ciavarella di San Nicandro e il clan Libergolis di Manfredonia-Monte Sant’Angelo-Mattinata. Anche Michele Ciavarella fu condannato a 4 anni per mafia, quale affiliato all’omonimo clan, nel maxi-processo alla mafia garganica.

I TRE OMICIDI – Agguati collegati quelli in cui persero la vita i due amici Daniele Scanzano (16 marzo 2003) e Antonio Daniele Graziano (4 maggio 2003). Il primo fu assassinato a 40 anni a San Nicandro da due killer nei pressi di un bar; come era davanti ad un bar l’amico Graziano quando arrivarono due sicari che spararono all’impazzata, uccidendo il trentanovenne garganico e ferendo anche 4 passanti. Quale autore materiale dei due agguati, come accennato, è stato condannato negli anni scorsi in via definitiva all’ergastolo Matteo Ciavarella (ritenuto responsabile nel maxi-processo di altri 3 omicidi, oltre che di mafia, droga ed estorsioni). Secondo l’accusa Matteo Ciavarella uccise Scanzano e Graziano perché li sospettava dell’omicidio del padre, Antonio Ciavarella, allevatore sannicandrese ucciso nel suo fondo il 28 novembre 2002 da sicari mai individuati. Con l’assoluzione di Giovanditto ora diventata definitiva resta invece ad opera di ignoti l’omicidio di Luigi tarantino (sesto di sette fratelli accomunati dall’essere morti ammazzati), freddato in un agguato la sera del 3 settembre 2013: in auto rientrava a San Nicandro dalla sua masseria quando una macchina con i sicari lo affiancò e fece fuoco, uccidendolo. Per l’omicidio di Luigi Tarantino la Dda accusò già Matteo Ciavarella e lo zio Michele Ciavarella, che furono assolti da questa imputazione nel maxi-processo alla mafia garganica.

LA PENTITA E LA "CIMICE" -  Peraltro Gennaro Giovanditto fu già imputato una prima volta di concorso negli omicidi Graziano e Tarantino nel corso proprio del maxi-processo alla mafia: nella prima fase la Dda gli contestò il concorso morale nei due agguati, ma la corte d’assise disse che doveva essere processato quale concorso materiale, da qui il processo-bis ora conclusosi di nuovo con l’assoluzione. Contro l’ergastolano Giovanditto c’erano le dichiarazioni della pentita Rosa Lidia Di Fiore, già sposata con un esponente della famiglia Tarantino ed amante di Matteo Ciavarella, che iniziò a collaborare con carabinieri e Dda nel 2003. Le accuse contro Michele Ciavarella di concorso morale con il nipote negli omicidi Scanzano e Graziano poggiano invece su un’intercettazione ambientale eseguita in carcere il primo marzo 2009 (2 settimane prima dell’omicidio Scanzano, due mesi prima di quello di Graziano) quando Michele Ciavarella detenuto per altre vicende ricevette in carcere la visita del nipote Matteo Ciavarella. Lo zio avrebbe detto al nipote: <> (soprannome di Graziano) <>. Secondo l’accusa che ha retto anche al vaglio della Cassazione in quel modo lo zio istigò il nipote a uccidere i presunti rivali, rafforzandone i propositi criminali. Per la difesa invece Matteo Ciavarella aveva già deciso di uccidere Scanzano e Graziano, per cui le presunte frasi dello zio non avevano in alcun modo rafforzato i suoi progetti.

"A breve presenterò un’istanza di revisione del processo in relazione alla condanna all’ergastolo di Giovanditto. Su quali basi e quali elementi nuovi poggia la mia istanza? In questa fase preferisco non anticiparlo". Lo annuncia al cronista l’avvocato Francesco Santangelo, difensore dell’ergastolano sannicandrese Gennaro Giovanditto, quarantenne, allevatore soprannominato "Scalfone" condannato al carcere a vita per tre omicidi e per mafia nel maxi-processo alla mafia garganica.

In 99, tra cui Giovanditto, furono arrestati dai carabinieri nel blitz del 23 giugno del 2004 su ordinanze di custodia cautelare firmate dal gip di Bari su richiesta della distrettuale antimafia. Al termine delle indagini la Dda chiese 107 rinvii a giudizio per 354 capi d’imputazione tra mafia, traffico di droga, 22 omicidi, 4 tentativi di omicidio, 152 episodi di spaccio, 20 estorsioni, 112 episodi di porto e detenzione illegale di armi, 15 furti, riciclaggio, favoreggiamento, peculato e concorso esterno in associazione mafiosa. Il processo si divise durante l’udienza preliminare: 2 imputati patteggiarono, 1 fu prosciolto, 80 vennero giudicati con rito abbreviato (45 assoluzioni e 35 condanne compreso un ergastolo), 24 furono rinviati a giudizio in corte d’assise a Foggia che il 7 marzo 2007 assolse 14 imputati e ne condannò 10, tra cui 4 all’ergastolo.

Gennaro Giovanditto, ritenuto l’anello di congiunzione tra il clan Ciavarella di San Nicandro e il più forte clan Libergolis della zona sipontina, era uno degli imputati della tranche dell’inchiesta giudicati in corte d’assise. Fu condannato all’ergastolo per il duplice omicidio Fania e per l’omicidio di Michele Tarantino, cui aggiungere 7 anni per mafia, favoreggiamento e armi, condanna assorbita dal carcere a vita. Fu invece assolto da altri 8 omicidi (compreso un triplice omicidio) e dalle accuse di traffico di droga e altri due episodi di armi. La sentenza di primo grado fu confermata in appello e Cassazione.

L’avv. Santangelo sta ora preparando gli atti per chiedere la revisione del processo in relazione ai tre omicidi per i quali è stato inflitto l’ergastolo a Giovanditto. L’allevatore è ritenuto uno dei responsabili dell’omicidio di Vincenzo e Angelo Fania, padre e figlio uccisi il 13 ottobre del ’99 nella loro azienda di San Nicandro (uno fu ammazzato nella messeria, l’altro inseguito e ucciso all’esterno) perché non volevano che i contrabbandieri di sigarette transitassero per i loro terreni: proprio quel duplice omicidio – scrissero in sentenza i giudici della corte d’assise di Foggia – segnò la nascita della mafia garganica. Giovanditto è stato condannato all’ergastolo anche per l’omicidio di Michele Tarantino ammazzato a San Nicandro il 30 marzo 2000. La vittima era figlio di Giuseppe, che fu condannato per la strage della famiglia Ciavarella – padre, madre e tre figli, scomparsi nel marzo dell’81 vittime della lupara bianca -  che diede via alla faida tra le famiglie Ciavarella e Tarantino.

Fonte: La Gazzetta del Mezzogiorno

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