Nel mondo moderno insieme all’industrializzazione, l’alfabetizzazione di massa, la diversificazione sempre più specialistica dei saperi scientifici, è tramontata la cultura dei proverbi che nella campagna ha avuto il suo centro più vitale e duraturo. Pertanto, nella cultura e nella lingua contemporanea i proverbi stanno scomparendo. La principale causa di tale decadenza risiede nel tramonto della civiltà contadina, nella quale per millenni la trasmissione della civiltà è rimasta affidata alla tradizione orale. Ciò significa che non appartengono più al linguaggio della maggioranza dei cittadini, in particolare dei giovani ai quali manca l’ambito di conoscenze e di esperienze legate al mondo rurale: non fanno uso di proverbi e non li capiscono prediligendo, per esprimersi, altre forme brevi. Nemmeno gli stranieri conoscono i proverbi ed i sannicandresi ben conoscono, per es., la consistenza della comunità marocchina in paese. Si è spezzata, quindi, la tradizione unitaria del codice di valori e di principi in essi racchiuso. Ciò sicuramente è avvenuto nelle città mentre, in provincia, nel linguaggio delle piccole comunità i proverbi continuano ad essere utilizzati soprattutto dalla popolazione anziana.
Da tempo immemorabile ci esprimiamo attraverso questi detti popolari, impressi nella memoria dall’infanzia, perché trasmettono sicurezza impartendo consigli di vita pratica per la salute, l’igiene, le relazioni sociali, le gioie, le miserie e le età della vita, il destino; inoltre, preparano ad affrontare le problematiche tratte dal contatto con il mondo vegetale ed animale, fino al soprannaturale. Ovvero i diversi aspetti della realtà, anche negativi, per poterli superare. Essi, dunque, trattano argomenti senza tempo come la famiglia, l’amore, la saggezza, il denaro, l’amicizia. Significativa, al riguardo, risulta l’invocazione -contenuta nell’opera dello scrittore sannicandrese Enzo Lordi, intitolata C’era una volta S. Nicandro- che una madre rivolge ai propri figli:
“Mò, figghi mia, quisti proverbi serv’n tutt ch far’v mparà.
Però alla fatiia e all’onestà so cos ca ciavita p’nsà
ca i quann m n vai ncel (s u cel c stà), da dda ssop voi v’dè quedd ca sapit fa”.
In proposito, sembra (solo apparentemente) stravagante il successivo detto, assai diffuso:
Ué …… c t’ sì iauzat cu ped tort?
che rappresenta un modo di dire tipicamente sannicandrese come reazione a qualcuno che, appena svegliato, ha manifestato un cattivo umore o ha avuto al mattino, immediatamente dopo alzatosi dal letto, degli atteggiamenti negativi. Più in generale, nella lingua italiana l’espressione è diversa. Ed è quella di “Avere la luna di traverso”. Che fa riferimento ad una credenza del passato in base alla quale si pensava che la luna calante potesse influenzare negativamente il proprio stato emotivo; che potesse addirittura avere un effetto negativo sulla psiche umana, portando a disturbi dell’umore o persino comportamenti irrazionali. Tuttavia, la locuzione sannicandrese afferisce maggiormente all’altra espressione italiana “Svegliarsi con la luna storta”, la quale indica l’essere di pessimo umore sin dal primo mattino. In buona sostanza, c t’ sì iauzat cu ped tort è un modo per comunicare al proprio interlocutore che sta esprimendo uno stato d’animo negativo: improvvisamente e senza una causa apparente. Perciò presenta un cattivo umore e si rivolge male. Molto male. Ecco perché l’espressione contiene anche un implicito monito ed è il seguente: cerca di svegliarti col piede giusto e … camina d’ritt. Come si può notare l’ammonimento non è nemmeno tanto celato; al contrario è abbastanza categorico. Perché? Ce lo spiega Enzo Lordi, secondo il quale nel Novecento vennero sfornati una miriade di proverbi e modi di dire che, nel mondo contadino, nascevano come ferree leggi di vita storicamente dettate da una società (governata da signorotti e baroni) rude, da una misera e stracciona tragicità quotidiana, nell’indigenza, nell’umiliazione e nella sofferenza di quei tempi bui. All’interno della quale non trovano luogo le mezze misure: si è coraggiosi o infingardi. “La realtà quotidiana è tutta cose e fatti, non c’è posto per parole superfllue o sentimenti inutili. Ciò che conta è la disperata e raggelante lotta per l’esistenza”. Da qui deriva una buona dose di categoricità riferita anche a piccole vicende che in una comunità assurgono a regole di sopravvivenza. In definitiva, il presente modo di dire è la perfetta constatazione che, contro le prepotenze e le sopraffazioni di ogni genere, compiuti da chi crede di averne la forza, le donne sannicandresi non sono affatto arrendevoli. Anzi, sono molto, estremamente combattive.
Il seguente modo di dire, invece, rappresenta un esempio lampante dei cambiamenti culturali scolpiti nel tempo, specificatamente nel passaggio da un’economia prevalentemente agricola ad un’economia maggiormente commerciale e turistico-centrica:
Andare a tutta birra
Certamente non si allude al fatto di entrare in un bar per ingozzarsi di birra. L’espressione non ha un significato letterale legato alla bibita. Si premette tuttavia che l’origine non è chiara. Si pensa che possa essere legata all’utilizzo della birra come bevanda rinvigorente, sia per le persone che per i cavalli che trainavano le carrette. Effettivamente, nel passato veniva vista come un alimento energetico, anche per gli animali. Ora, andare a tutta birra è un modo di dire italiano che significa andare a gran velocità. Quindi, con tale locuzione si intende indicare un’azione compiuta rapidamente e con impegno. Inoltre, l’espressione viene usata frequentemente per sottolineare l’intensità di una situazione o di una attività, può quindi riferirsi sia ad eventi dinamici e frenetici, sia a momenti di grande divertimento e spensieratezza. Ragion per cui andare a tutta birra rappresenta l’idea di vivere con entusiasmo e senza esitazioni, affrontando la vita con un ritmo vivace e ottimista.
Calato nel contesto cittadino si evidenzia come il consumo della bevanda in questione é scarso. Se ne beve poca. Perciò, al fine di incrementare la consumazione da parte dei compaesani, qualche mente illuminata ha avvertito la necessità di introdurre la Beerfest anche a San Nicandro Garganico. D’altra parte, tra tutte le eccellenti qualità dei tedeschi, in primis l’operosità, secondo Voi cosa si poteva emulare della Germania? Lo scrittore Emilio Panizio, difatti, su sannicandro.org ha narrato che anticamente il maschio sannicandrese veniva considerato un cavallo di razza la cui rinomanza era tale da attrarre molte bellissime donne forestiere a San Nicandro Garganico. Curiose di verificare in concreto le decantate virtù, determinate soprattutto dal mito di un fascino selvaggio che promanava dal suo sguardo assassino. Purtroppo, non vi sono fonti storiche attendibili che collegano la birra alle virtù in questione. Nondimeno, l’importazione della Beerfest rappresenta un tentativo di addomesticare quello stato museale di disoccupazione, collegato al trend di meditazione filosofica e di ozio trascendentale da cui derivava l’irresistibilità di quegli occhi furbi, pronti al guizzo malizioso, tipiche del macho. E’ notorio però che la birra, con somma soddisfazione dei diabetologi, contiene carboidrati e zuccheri, con l'alcol come principale fattore calorico. Conseguentemente, non si può escludere che essa produca effetti esattamente opposti, per nulla virtuosi e piuttosto dannosi, facendo nascere l’interrogativo: siccome attualmente gli uomini sannicandresi stratosferici di una volta sono spariti (in particolare i vecchi pastori di capre garganiche ed i pescatori di cefali lesinari), non è che sia proprio l’eccessivo consumo di alcol, insieme al progressivo invecchiamento della popolazione, una delle cause della lenta ma inesorabile decadenza storica del maschio sannicandrese? Nel senso che, nella presunta ed erronea convinzione che il maschio sia superiore alla femmina, di tutti gli atteggiamenti che esprimevano sicurezza, persa per strada la forza, l’aggessività, la violenza, l’intimidazione, la maleducazione e l’inciviltà, per essere seduttore-donnaiolo-dominatore al macho oggi resta soltanto il “coraggio” dell’inclinazione all’alcolismo. E, con i tempi che corrono, vi pare poco?
Francesco Sticozzi