La notte in cui gli spiriti camminano tra gli ulivi a Sannicandro

 

Quando arriva la notte di fine ottobre, a Sannicandro Garganico l’aria cambia. Le strade si fanno silenziose, il vento soffia tra gli ulivi e sembra di sentire qualcosa di antico, un respiro che non appartiene solo a questo mondo. Oggi lo chiamiamo Halloween, ma l’idea che i morti possano tornare per una notte tra i vivi è molto più vecchia. Gli antichi lo sapevano bene: per loro, quella linea invisibile tra il mondo dei vivi e quello dei morti si assottigliava in certi giorni, e bisognava rispettarla. A Roma, ad esempio, c’era la Lemuria: una notte in cui le case restavano buie, e il capofamiglia, scalzo, lanciava fave nere dietro di sé per placare gli spiriti inquieti. Dicevano che quelle anime erano i morti dimenticati, che tornavano per chiedere attenzione. Si raccontava anche che Romolo, dopo aver ucciso il fratello Remo, avesse visto il suo spirito e, per scusarsi, avesse istituito quel rito. Nel mondo greco, invece, le cose prendevano un tono più misterioso. Si parlava delle empousai, spiriti femminili che di notte assumevano l’aspetto di donne bellissime per avvicinare gli uomini, ma in realtà erano servitrici di Persefone, la regina degli inferi. Era lei che, in certi giorni, apriva i cancelli dell’Ade per lasciare uscire le anime: non per fare paura, ma per ricordare che la morte non è una fine, ma un passaggio.

E in fondo, anche nel Gargano, certe idee non si sono mai spente. A Sannicandro, la notte tra l’1 e il 2 novembre è ancora piena di piccoli gesti antichi. C’è chi accende una candela sul davanzale, chi lascia la tavola imbandita con pane, vino e acqua per “chi torna a trovare casa”, e chi prepara la famosa calza dei morti per i bambini. Dentro ci sono dolci, frutta secca, castagne e fichi, ma se il bambino è stato monello, può trovare anche un po’ di cenere o carbone. È un modo affettuoso per insegnare che i morti non fanno paura, ma vanno ricordati. Un tempo si diceva anche che nelle campagne fosse meglio non uscire dopo il tramonto, perché l’aria fredda portava con sé “i santi”, le anime in cammino verso casa. E tra le storie che si tramandano ancora, c’è quella della Grotta delle Streghe, nascosta tra gli ulivi, dove si dice che di notte si sentano sussurri e risate leggere, come di donne che sanno cose che gli altri hanno dimenticato. Alcuni le chiamano streghe, altri semplicemente spiriti antichi che vegliano sui luoghi del Gargano.

Oggi, forse, queste storie non si raccontano più spesso. Ma ogni volta che una candela resta accesa, che una tavola rimane imbandita o che un bambino riceve un dolce “dai morti”, si rinnova qualcosa di profondo. Halloween, con le sue zucche e i suoi scherzi, è solo una forma moderna di una memoria che da secoli ci accompagna. E qui, a Sannicandro Garganico, quella memoria vive ancora: nel vento che passa tra gli ulivi, nei lumini accesi ai balconi, e in quel silenzio leggero che, per una notte, unisce i vivi e i morti in uno stesso respiro.

Jeremy Damaschino

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