Vasco Rossi: concerto dei record

Chapeau!

Se una veggente mi avesse predetto che un giorno avrei parlato bene di Vasco Rossi, probabilmente le sarei scoppiato a ridere in faccia, ripreso i miei soldi e dato fuoco al suo tendone. Per fortuna non frequento veggenti; non sono neanche un piromane se è per questo, ma volevo rendere bene l’idea.

L’evento di Modena non può lasciare indifferenti, melomani e non. 220mila spettatori è un record tra i concerti a pagamento e fare un paragone con quelli gratuiti non avrebbe senso, per ovvi motivi; lì si viaggia su cifre assurde calcolate in milioni. Nel 1994, a Rio De Janeiro, Ross Stewart veniva ascoltato da tre milioni e mezzo di anime; stesso risultato lo otteneva l’anno dopo Jean-Michel Jarre in quel di Mosca. Band rock hanno raggiunto cifre astronomiche anch’esse, sì, ma in festival che radunano fan di diversi artisti. Della serie: ti ascolto, ma non sono qui per te. Al parco di Modena, invece, erano solo per Vasco.
 Voglio fare un paragone allora?

No, affatto. Ma qualcosa, questi numeri, la stanno a significare.
 Vasco Rossi non è tra i miei artisti preferiti, eppure di musica ne ascolto, anche parecchia. Mi piace spaziare tra diversi generi, ma Vasco proprio no. Anzi, se proprio devo dirla tutta, musicalmente parlando, lo odio. Lui non canta, emette suoni collocabili tra il parlato e le urla stonate. Testi stupidi a volte, frasi sgrammaticate in altre. «Anche se tante cose, un senso non ce l’ha», cantava tempo fa con voce rauca.
 Ma allora, perché ha così tanto seguito questo tizio? Mistero della musica.

Sì, perché la musica è anche mistero tra le tante caratteristiche. La musica è lì per parlarti di cose che le semplici parole non riescono a dirti. Ti fa ridere, stare bene e poi di colpo piangere. È rifugio, è sogno, è speranza. È anche vita di tutti i giorni e, quel tizio, tutte queste cose le ha sapute raccontare bene da quarant’anni.

In Italia ci sono due tipi di persone: quelli che amano Vasco Rossi e quelli che odiano Vasco Rossi. I primi credono di essere buoni intenditori di musica e i secondi anche, calcolando la stessa radice.

Non ho mai comprato un suo disco, mai ascoltato volontariamente una sua canzone, mai guardato un suo videoclip, ma se mi chiedeste i titoli delle sue canzoni, saprei elencarne a decine e canticchiarne le melodie. Non è il semplice tormento mediatico, è qualcosa di più. D’altronde non conosco il testo degli ultimi successi musicali, eppure anche da quelli ne veniamo asfissiati. Durano un anno o due, poi finiscono nel dimenticatoio o messi tra le cianfrusaglie della mente con l’etichetta del “Te la ricordi questa canzone?”

Le sue invece no, sono sempre attuali perché sono vere, le puoi sentire sulla pelle. Ha saputo raccontare la vita nelle sue sfaccettature, ha saputo descrivere la semplicità del quotidiano e accompagnato diverse generazioni raccontando desideri, dubbi, paure e amori delle persone comuni. Non è declassante essere persone comuni, lo siamo tutti, e se la racconta lui la nostra vita, risulta credibile ai nostri occhi, perché – persona comune – lo è anche lui. Non ci è dato saperlo se lo sia veramente. Non vogliamo saperlo. Fa tutto parte dell’illusione.

Potrei paragonarmi a Vegeta, nella puntata in cui riconosce in Goku il vero numero uno. Lo ammette finalmente, per poi continuare a dargli contro e battibeccarsi ad ogni occasione, perché – in fondo – è questa la sua natura. Quella mole di spettatori può permettersela solo chi il numero uno ce l’ha tatuato sulla schiena. Duecento-venti-mila persone tutte diverse e accomunate dalla stessa musica. Adolescenti, padri e madri di famiglia, uomini di mezza età. C’era il cattolico e il protestante, lo juventino e l’interista, il ricco e chi ha tirato la cinghia per permettersi un biglietto. Il barista, l’ingegnere, il sindaco, il commerciante. Tutti a cantare la stessa canzone. A pronunciare la stessa parola all’unisono: questo è il miracolo della musica!
 Adesso rapportiamo il tutto al numero di abitanti che ha l’Italia, che non è la Russia, non è il Brasile o gli Stati Uniti, e venitemi a dire che è facile. E farlo oggi, col mercato musicale in crisi.

Tanto di cappello Vasco Rossi! Oggi sono anch’io un tuo fan. Non dell’artista, ma della persona. Tanta energia in un uomo che alla tua età riesce ancora a eclissare tutti.

Lo fa per soldi? Fallo anche tu se ne sei capace.

Quello viene dopo, come il chirurgo non opera certo per beneficenza, ma la vocazione deve avercela dentro. E non venitemi a dire che fuori dal Bel paese è nessuno.

Vi racconto un aneddoto: «Cosa ne pensi di Vasco Rossi?» chiesero in un’intervista a Janis Joplin. «Vasco chi?» rispose.

Ora che l’aneddoto è finito, chi saprebbe dirmi chi è Jean-Michel Jarre?

Menu