Le regole del gioco

    Viviamo in una società composta da insiemi. Ci sono i maschi e le femmine, ci sono i bambini, i ragazzi, gli adulti e gli anziani, ci sono gli eterosessuali e gli omosessuali. Poi ci sono i credenti e i non credenti, i praticanti, il clero, i laici. Ci sono i liberi professionisti, gli impiegati e gli imprenditori, piccoli o grandi che siano. C’è chi tifa Milan, o Juventus, o Inter, e chi – del calcio – gliene importa nulla. Chi vota a destra e chi vota a sinistra, chi non vota e chi vota i politici che si discostano dalla politica stando in politica. Ci piace dividere tutto, ci piace creare gruppi o, appunto, insiemi. 

    Ci sono i bianchi e i neri, gli Italiani, gli stranieri e gli extracomunitari. Prendiamo questo come esempio.

    C’è un primo grande insieme: il genere umano. Immaginiamo un grande cerchio, al cui interno ci sono altri due cerchi: nel primo ci mettiamo i bianchi, nel secondo i neri. Adesso, gli Italiani, in quale dei due cerchi andrebbero collocati considerando che ci sono Italiani bianchi e Italiani neri? Qui entrerebbe in gioco la matematica, ma non è questa la sede adatta e, soprattutto, la persona idonea per farne una lezione.

    C’è una tendenza innata nel dividerci, nel considerare un io e un tu, noi e loro. Saremmo disposti a spaccare la testa al tifoso avversario in un derby calcistico, per poi gridare a braccetto “Forza Italia!” durante i campionati mondiali. 

    Ci dividiamo e lo facciamo con naturalezza, senza neanche pensarci su, senza rendercene conto. Ci dividiamo e lo facciamo in insiemi e sottoinsiemi sempre più piccoli, fino ad esserci divisi anche nel singolo. Queste righe sono un esempio: più di cento persone leggeranno questo articolo, tutti faranno parte di un qualcosa, tutti conosceranno il suo contenuto, ma ognuno l’avrà fatto per conto proprio. Stessa cosa accade coi social: stiamo tutti in contatto col resto del mondo, restando completamente soli.

    Cosa accomuna gli esseri umani, di qualsiasi razza, etnia, età e posizione sociale? Sicuramente molti aspetti, dalle questioni fisiologiche ai sentimenti. Non ne conosco una lista, ma tra le tante, uomini (e il resto dei mammiferi) sono accomunati dal gioco.

    Tutti giochiamo e, per certi aspetti, la vita stessa è un gioco.

    Prendiamo un gruppo di persone a caso e diamo loro un mazzo di carte. Questi non conoscono le immagini raffigurate sulle stesse e non conoscono le regole. Cominceranno a giocare sentendosi costretti a inventarsele da sé, nella speranza di fare la cosa giusta o di interpretare il più possibile le intenzioni di chi ha dato loro questo mazzo.

    Stileranno un regolamento, ognuno con la propria idea, ma alla fine raggiungeranno un compromesso che sia equilibrato con tutte le parti in causa. Poi giocheranno e avranno battibecchi sulle regole che loro stessi hanno scritto, rimettendole in discussione, con un unico obiettivo comune: quello di vincere. La vittoria del singolo, significa sconfitta per il resto del gruppo, quindi andranno a crearsi dissapori e competizioni. La vittoria non potrà essere raggiunta da tutti e, quando ne avranno consapevolezza, il nuovo obiettivo sarà quello di creare una condizione per minimizzare la perdita, e così di seguito, fino ad arrivare all’ultimo classificato che, pur di provare giovamento dalla competizione, dirà che l’importante è partecipare.

    Avranno creato un regolamento che tramanderanno alle future generazione, un regolamento che in buona parte era equo per il primo gruppo e mai potrà essere giusto per gli altri a seguire. Ormai sono state costruite le fondamenta per i prossimi gruppi; loro dovranno necessariamente seguire quelle regole, tuttalpiù fare pochi ritocchi, e così via.

    Ora immaginiamo che con la nascita ci venga imposto un gioco chiamato “vita”. Nessuno conosce le regole, lo scopo e le condizioni di vittoria. Ognuno avrà una propria idea e ognuno stilerà un proprio regolamento, ma alla fine tutti raggiungeranno un compromesso per fondare una società. A distanza di generazioni, i nuovi arrivati saranno costretti a integrarsi, ma lo faranno con naturalezza, crescendo in uno stato di cose che verrà dato per scontato. Non per tutti, su mille nascerà uno a cui quelle regole proprio non gli vanno a genio, che schematizzarsi in uno scenario dove a 6 anni devi giocare con le macchinine, a 10 studiare percussioni, a 18 diplomarti e fidanzarti, a 25 laurearti e a 30 sposarti, proprio non gli piace. Non piace perché lui a 6 anni vuole risolvere espressioni algebriche, a 15 fidanzarsi, a 18 diplomarsi e imparare la chitarra a 21 anni. O forse perché vuole diventare cantante, ballerino, arredatore a 20, sposarsi a 40 e leggere fumetti a 70.

    Uno su mille vorrà vivere e sentirsi bene mescolando le carte in tavola, portare i capelli lunghi anche se è maschio, o radersi a zero anche se è femmina. A quel ragazzo gli diranno che è sbagliato e deve attenersi alle altrui regole spacciandole per giuste. Sono giuste perché si è sempre seguito uno schema fondato sul nulla.

    Chi conosce le regole della vita?

    È presuntuoso anche il solo pensare che ci siano delle regole. Ognuno ha le proprie, nel rispetto della società e della libera, pacifica e civile convivenza. Non spacciate le vostre regole per giuste e non imponetele al prossimo, perché state mentendo, qualunque esse siano.

    Prendiamo quel gruppo di persone a caso a cui abbiamo dato un mazzo di carte. Non conoscevano le regole del gioco, ma nessuno ha mai detto loro di cominciare a giocare.

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