La Pasqua (poco) cristiana

    Pasqua è passata, la Pasquetta pure. Festività puramente religiose. 

    In molti tornano nel bel paesello e alcuni vanno via per una piccola meritata vacanza, pochi in verità.

    Una delle tante occasioni per ricongiungersi coi cari, con gli amici, laddove il chiodo fisso sembra essere uno e uno solo: sedersi a tavola e mangiare.

    È la verità. Adoriamo il Natale e la Pasqua, ma se pensiamo al modo in cui le viviamo, nascita e resurrezione di Cristo passano quasi in secondo piano. Natale è regali, sinn’p, nguilla, mega abbuffate, c’cjun, panettoni e pandori, giocate a carte; Pasqua è un uovo di cioccolato, carducc’, mega abbuffate, passeggiate tra le chiese la sera del giovedì santo tirati a puntino (perché si sa che se non hai l’abito nuovo, Gesù non ti ama), colomba e scampagnate con tanto di griglia al seguito. Non voglio generalizzare, non per tutti vige la regola e non tutti pensano al solo lato culinario, ma prima di destabilizzarvi e permettervi di mentire a voi stessi: quanto, in percentuale, conta l’aspetto religioso in ognuno di noi, in una festa religiosa?

    Poi sposto la mia attenzione durante il resto dell’anno, quando il “mandriano” aggeggio presente sui mobiletti delle nostre case, da buon cane pastore, decide la direzione che debba prendere il suo gregge. 

    «Il crocifisso a scuola non si tocca» dice il tizio seduto a tavola durante la sua quotidiana scorpacciata, come se di quel crocifisso gli importasse qualcosa. Non si tocca per una questione di principio, perché a casa mia comando io.

    Possono toglierti il crocifisso da una parete, ma come possono toglierti Dio dentro di te?

    Se fossi quel tizio seduto a tavola mi chiederei: il crocifisso di quando andavo a scuola, destinatario del mio amore e delle mie attenzioni, che colore aveva? Se era così importante, di certo me lo ricorderei. Era di legno o di metallo? Poi mi guarderei attorno e starei bene attento se in casa mia ne è presente uno. E ancora mi chiederei: quando accompagno mio figlio a scuola, l’ho mai guardato? Sono stato bene attento che fosse lì presente alle spalle del docente? In ultimo: dall’ultima volta che ne ho sentito parlare, e prima che il tizio che sta scrivendo queste parole ne tirasse fuori l’argomento, ho ripensato se sia giusto o meno tenere un crocifisso a scuola?

    A voi l’ardua sentenza. Ritiratevi pure per deliberare nelle camere dei tribunali della vostra mente e, in attesa del verdetto, vi tranquillizzo: il qui presente ne è favorevole (prima di essere messo al rogo, non si sa mai).

    Un crocifisso ha valore simbolico, segno di tradizione e fede di un popolo. Tolto il crocifisso, la tradizione e la fede di quel popolo rimane. Resto cristiano anche denudato, anche senza un ciondolo appeso al collo. Resto cristiano perché la fede non è materiale.

    Non si è cristiani solo quando siamo seduti tra i banchi di una chiesa. Tolta l’immagine di Cristo dalla vista degli occhi, la sua figura resta scolpita dentro. Non si può credere e pensare che un oggetto possa sostituire l’insegnamento, religioso o meno, di un genitore o una figura di riferimento.

    Quando ai nostri figli vogliamo insegnare il modo corretto di vivere in una società, quando vogliamo insegnargli qualcosa di spirituale o quando vogliamo insegnargli la musica, non basta mettere in bella vista nelle loro camere il Codice civile, la Bibbia o una chitarra. Per insegnarlo bisogna leggere, interpretare, raccontare con parole comprensibili. Bisogna viverli quegli insegnamenti dando l’esempio.

    Certo, senza una chitarra a supporto difficilmente riusciremo a mettere in pratica quanto appreso. Senza un testo di riferimento, mai potremo staccarci da quell’insegnante per diventare autonomi. 

    Da solo, un simbolo, vale ben poco.

    Lungi da me voler accostare religione e musica, se non come scopo esemplificativo, o sostenere che non sia importante per alcuni l’iconografia. Il mio è uno spunto di riflessione. Non sono un teologo, non sono un parroco. Mi piace solo scomporre un puzzle e rimetterlo a posto formando la giusta immagine, giusta perlomeno dal mio punto di vista.

    Quanto ho appena detto e sostenuto va letto e interpretato anche dall’altra parte della barricata. Barricata invisibile che neanche dovrebbe esistere. Il discorso è identico e inverso: quanto fastidio alla tua fede può mai arrecare un simbolo di un’altra religione? Quanto può essere dannoso se la fede, quella sana, quella che si vive dentro, la coltivi per costruire e non per distruggere, quanto è tuo e quanto è degli altri?

    Allora abbiamo bisogno di un pretesto, qualsiasi esso sia, per dividerci, per creare un “noi” e un “loro”, che poi vengono scissi in “favorevoli” e “contrari”. Ogni pretesto è quello giusto per poter prevalere sul prossimo difendendo valori in cui crediamo poco. Quello che conta è l’immagine, la corteccia, metterci in mostra per dipingerci addosso autoritratti che non ci rappresentano. 

    Ecco come una società attenta al lato esteriore non può che dare importanza alla presenza o assenza di un crocifisso, perché tolto quello, dentro rimane ben poco. 

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