Scuola, la vita dietro la mascherina

Settembre: tempo di fresco, di foglie, di sveglia, di scuola. E che scuola quest’anno! A pochi giorni dall’ingresso nei luoghi che per noi docenti e per gli alunni sono quelli più vissuti, almeno fino al Covid, dove di noi si spende la maggior e, forse, miglior parte, ripercorro con la mente il nome e le facce dei miei alunni e mi ripeto che tra pochi giorni di loro scorgerò solo gli occhi e ascolterò solo voci quasi anonime, che si faranno spazio tra le pieghe delle mascherine, sfidando l’opacità sonora del tessuto.

E dove saranno quelle espressioni simpatiche dei ragazzi più schietti e veraci, dove quei sorrisi impacciati per uno studio mancato? Come leggere quelle labbra strette per custodire tristi storie di famiglia o per non svelare quelle imbarazzanti verità di vite provate, ma che noi insegnanti ascoltiamo lo stesso, perché gridate proprio da quelle bocche sigillate? Dove e come ricevere i frammenti di saliva di un parlare frenetico e incontrollato di quegli alunni che cercano di raccontare di loro, delle loro conquiste, dei traguardi affettivi raggiunti, ma anche delle loro delusioni, dei tradimenti subiti, delle offese ricevute e vendicate?

Poi penso ai colleghi e immagino lo stesso intoppo: anche con loro la barriera-mascherina darà i suoi deludenti frutti; né una mano sul braccio del collega potrà alleggerire, come spesso accade quasi per magia –sono i miracoli della condivisione sincera- i pesi, le amarezze, il vissuto degli ultimi mesi. Anche le nostre facce raccontano più di mille parole: una risata sonora rivela vacanze vissute in serenità, bocche serrate dai contorni lividi dicono amarezze e stanchezze, insomma dovremo raccontarci in altro modo, ovviamente scegliendo strade diverse, purché non venga meno anche quella comunicazione implicita, fatta di non-parole.

Come sarà strana la scuola quest’anno. Intanto un pensiero speciale va ad una forte “presenza” nella comunità scolastica di san Nicandro di chi non c’è più: il collega Matteo Pertosa. Il sacrificio fino alla morte di uno solo si è rivelato salvezza per l’intera comunità scolastica del nostro paese. Proprio la sua storia personale, il suo assurdo ritrovarsi in un letto di ospedale, senza previsione alcuna, hanno rivelato la gravità del problema e l’urgenza di porvi rimedio con l’isolamento di noi tutti. La sua missione di prof speciale per un alunno speciale si è convertita in un’offerta generosa per alunni e docenti. Grazie Matteo!

E che dire delle attenzioni per la salute di chi ci sta accanto di non meno di un metro? Io non ho mai avuto orecchie per gli starnuti altisonanti dei miei ragazzi o per un colpo di tosse che può raccontare dall’imbarazzo per un’interrogazione alla richiesta di attenzioni; mai avuto occhi per gote appena più rosse! Risiedo molto poco alla cattedra e mi piace confondermi con chi mi stacca di almeno 40anni, con la remota speranza di essere contagiata dalla spensieratezza e dalla freschezza dell’età dei miei alunni. Allora dovrò rivedere il mio stare al lavoro, dovrò guardare gli alunni con occhi nuovi per la loro e la mia salvezza. Devo imparare, come tutti, ad usare le armi a disposizione dell’umanità per sconfiggere un nemico che, in modo subdolo, si è sistemato tra i peggiori demoni, avversari delle nostre esistenze. Tutti dobbiamo garantire al mondo il nostro impegno e, perché no, le nostre stravolte abitudini di vita, per continuare ad esserci e a testimoniare che ogni sforzo, anche il più piccolo, concorre alla salvezza di tutti.

Non mi arrendo, però! Imparerò ad ascoltare comunque la vita dei miei ragazzi e di chi vorrà condividerla con me, proprio quella che è dietro la mascherina e continuerò a raccontare la mia che è dentro la mascherina!

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