I cani randagi del Gargano

Nel periodo di Pasqua passeggiavo con un amico d’infanzia nel mio Gargano lungo il viale ricoperto da enormi alberi di pini marini. Due cani stavano lacerando un sacchetto di plastica con dentro le immondizie.

Il mio amico si trovò a disagio nei miei confronti e sussurrò con voce pacata: «noti in che degrado attraversa il nostro paese, che titolo daresti a questo episodio?»

«Il paese ai cani», risposi.

Il cane del Gargano ha svolto in passato un ruolo molto importante nella vecchia civiltà contadina, amico fedele che vigilava la mandria da altri animali predatori, aiutava i pastori a radunarla e vigilava per tutta la notte.

Alcuni volpini erano addestrati dai padroni a viaggiare sotto il carretto, essi abbaiavano quando il cavallo o il mulo sbagliavano direzione o quando si avvicinava una figura estranea.

Poco lontano dalla mia abitazione sotto una grande scalinata esterna c’era una stalla dove dimorava un asinello il quale ragliava fino a quando un cane bastardo non rientrava a tenerlo compagnia. Infatti il proprietario mi spiegò che gli animali quadrupedi soffrono di solitudine e qualsiasi razza di cane è in grado di colmare il vuoto.

Quando l’asinello avvertiva la fame o la sete, il cane abbaiava dietro la porta fin tanto che i padroni non scendessero nella stalla per abbeverarlo o per governarlo.

Un contadino cadde dall’albero e rotolò in una scarpata tramortito, è stato il suo cane a salvarlo attirando l’attenzione dei passanti abbaiando fortemente e indicando il luogo ai soccorritori.

I cani erano lasciati liberi dai padroni, cacciavano, si accoppiavano, erano però ubbidienti ai richiami, educati soltanto col pezzo di pane, stesso alimento dei contadini.

Altre cose in passato avrei da raccontare, gradirei però descrivere come ho visto i cani randagi nel presente.

Mi sono recato al cimitero, davanti all’ingresso sostava un grosso mastino abruzzese, all’interno tante nicchie senza luce e senza fiori, tanti gli sguardi delle foto che m’invitavano a sostare; i defunti restano isolati fino al due Novembre e alcuni vengono totalmente dimenticati.

All’uscita del cimitero mi fermai per ammirare il mastino, ho provato tanta tenerezza per quel guardiano delle anime dei cari defunti. Ritornando a quel ampio piazzale alberato dove un tempo nei giorni festivi si sfociavano gli abiti più belli e si respirava aria fresca dei pini, tutto lo spazio attualmente è occupato da macchine parcheggiate disordinatamente e quando un giovane avviò l’auto partendo a razzo, due cani attaccarono l’auto tentando di mordere i copertoni.

Quei cani si sono ribellati ai mostri della civiltà per aver inquinato con gli scarichi del carburante l’aria sana, per aver col rumore assordante alterato la quiete dell’ambiente e per invitarci forse a riflettere.

In un paesino poco distante da San Remo scendono i cinghiali e le volpi a depredare i cassonetti delle immondizie in quanto i cani sono prigionieri nelle abitazioni signorili, sterilizzati, obesi, privi ormai di sensibilità e di istinti, vittime dell’egoismo dell’uomo che necessita di compagnia e che a suo piacimento fa fare loro i bisogni. Ritornando al primo episodio dei due cani che avevano lacerato il sacchetto presso l’unico cassonetto, all’interno di esso oltre agli avanzi di cucina vi erano: carta, bottiglie di plastica e bottiglie di vetro.

Più che attribuire al degrado causato dai cani citerei l’autore del misfatto, forse trattasi di un pessimo cestista che ha scambiato il pacchetto per palla non ha saputo fare neanche canestro; forse i cani suggeriscono di praticare la raccolta differenziata dei rifiuti come avviene in ogni parte d’Italia.

Anche gl’Indiani erano definiti dal popolo americano incivili, perché non volevano che il loro territorio fosse attraversato dalla ferrovia, che il loro bestiame fosse cacciato con fucili ripetitori, che la loro cultura e la loro spiritualità non fossero calpestate. Quel popolo curava l’agilità del proprio fisico, rispettava l’anziano della tribù, era ossequioso ai riti religiosi, si nutriva di caccia e prodotti coltivati naturalmente, l’unico difetto che tagliava i capelli agli intrusi.
Nella civiltà americana sussistono tanti obesi che si nutrono esclusivamente di prodotti artificiali sono privi di spirito e di affetti, meditiamo in merito.

C’è chi vede dopo la siepe il buio, eppure attraverso la siepe s’intravede sempre uno spiraglio di luminosità. L’acqua filtra attraverso il terreno e la roccia, deposita le scorie prima di diventare pura e limpida così se il nostro sguardo riuscisse a frantumare la barriera dell’odio, del rancore, degli interessi personali, dell’egoismo, del successo, dell’ideale avverso: politico, religioso e di razza, scoprirebbe la visione chiara della positività in tutte le cose.
I nostri antenati hanno messo in pratica la loro positività nei momenti catastrofici delle guerre, con pochi mezzi a disposizione e tanta povertà hanno sconfitto anche le tante epidemie.

I giovani devono intravedere attraverso la siepe lo spiraglio della luminosità, credere e sfruttare ogni possibilità, filtrare le negatività e costruire il futuro migliore.

Caro amico ti scrivo così rifletti un po’: il peggiore dei cani randagi del Gargano è sempre meno pericoloso degli individui umani che violentano bambini, che spaventano le donne anziane entrando nelle loro case incutendo il terrore, rubando le cose intime e care acquisite nel tempo con sacrificio.

Antonio Monte da Milano

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