Che mondo - quando eravamo ragazzi

Quando eravamo ragazzi, per tutti gli anni cinquanta e sessanta, facevamo il “Giro d’Italia” con il percorso disegnato sul marciapiede con qualche pezzo di gesso trafugato a scuola o con qualche pezzo di tufo. Poi, ognuno con un bellissimo tappo di birra riempito di materiale povero, con alla superficie appiccicata la figura di Coppi o Bartali, di Guerra o Binda, si iniziava la gara spingendo a turno con colpi assestati con il dito medio che faceva da molla, trattenuto dal pollice.

La gara era una cosa seria perché si giocava in parecchi ed ognuno degli sconfitti doveva dare al vincitore un certo numero di tappi - i rutucidd’ – già riempiti ed adornati dalla figura di un ciclista famoso.
Ovvio che i tappi adornati con Bartali o Coppi valevano più di qualche Guerra e più di parecchi Binda. Si giocava anche con le palline di vetro rotonde e colorate ed il più bravo era quello fra noi che spingendo la pallina allo stesso modo dei tappi di birra, riusciva a mandarla nel piccolo buco che già avevamo scavato a qualche metro di distanza dalla linea di partenza. Le ragazze giocavano, invece, a “campana”, disegnando per terra, allo stesso modo, dei quadrati in cui saltavano recitando una cantilena, oppure giocavano a “Vrecc’” a “Palla e trucculitt’” o, a squadre, cantando “...è arrivato l’ambasciatore...”.

Erano tempi in cui i genitori costruivano per i maschi i “trajinidd’” e per le bambine i bambolotti di pezza, si andava a vedere la partita della Juve dove c’era uno dei rari televisori in B/N ed andare a cinema era un lusso, un desiderio insoddisfatto, perché costava la bellezza di 15/20 lire. Si proiettava “U cin’m’ a jorn’” con doppio spettacolo e due firms in programmazione. Quando si riusciva ad entrare, il locale era sempre affollato ed i corridoi erano talmente pieni di gente che occorreva trovare la giusta posizione per poter guardare lo schermo.

Noi ragazzi, una volta entrati, ci gustavamo il film più volte; la prima visione in piedi, poi dopo il secondo spettacolo, ci si ripassava lo stesso film, finalmente comodamente seduti. Uno dei due film era sicuramente “D’amore”, l’altro “’Ndian’ e bandit’” dove Gary Cooper, John Wayne o Alan Ladd, faceva la parte d’ “Iss”, il protagonista maschile che più in gamba non poteva essere, che vinceva sempre ed era il prototipo del maschio forte e leale, che combatteva contro i traditori e i cattivi rispettando sempre i valori dell’amicizia, della famiglia e dell’onore. La proiezione serale prevedeva anch’essa due films, se, invece, ne prevedeva uno solo, si trattava di un colossal tipo “I dieci Comandamenti”, “Ben Hur”, “Ulisse”, “La Tunica”, ecc.. In ogni caso era un’attrattiva da sogno per i ragazzi e per gli adulti.

Certo non c’era molto per divertirsi e giocare. A Piazza 4 Novembre c’era “la brecciolina” e non c’era ancora la villa comunale. Al centro c’era una croce di ferro su un cippo rotondo di pietra, poggiato su tre scalini quadrati e lì, intorno a quella croce, si giocava con qualche pallone di pezza, a “Mazz’ e Cuzz’” , a “Cipp’ra”, a “Namm’cciun’” o a “Cavadd’ sotta”. La “brecciolina” faceva le sue vittime, perché ad ogni caduta ci si stracciava le mani e le gambe. Se qualcuno di noi aveva 5 o dieci lire, si poteva affittare una bicicletta da Nicola Giagnorio a Pozzo Bove, nello stesso locale dove adesso funziona il negozio di ottica di A. Cacchione. Nicola era un vero tecnico delle due ruote; affittava la mezza macchina, a cinque lire all’ora, ai ragazzi più piccoli, la macchina a quelli più grandi.
Quasi nessuno riportava la bici in orario, si girava sempre oltre quello consentito, il tempo non bastava mai. Si correva con tutti i compagni che seguivano dietro correndo per tutto il percorso in attesa che quello che aveva pagato rispondeva alla richiesta “ma fa fa nu gir”. U gir’ , non lo facevano tutti, non c’era mai tempo, e molti, quindi, non provavano l’ebbrezza delle due ruote. Si riportava la bici in ritardo e si scappava per timore che Nicola facesse pagare l’ora supplementare. Non l’avrebbe mai fatto, ma già la trasgressione commessa per non aver rispettato l’orario di riconsegna faceva immaginare gravi punizioni, per cui si sbatteva la “mezza macchina all’ingresso dell’officina e via di corsa mentre Nicola sbraitava più per il gesto che per il ritardo.

Non sempre, ma qualche domenica si poteva sparare qualche colpo con il fucile a piumini vicino “a la barraccola”, pagando poche lire al nonno di Pinuccio “U bolognes’”, simpatico amico da sempre, medico chirurgo-primario pronto soccorso, scomparso qualche anno fa. Era il tempo in cui si compravano “i cic’ a la marina” a 5 lire “o’ musuredd’” da C’ccill’ u castagnar o da due sorelle che abitavano a Pozzo Bove, la prima casa a sinistra sotto le suore di donna Michelina. I ceci venivano misurati e poi versati in un cono di carta preparato dal venditore – u cupputedd’ – Era anche il tempo in cui si vendevano per le strade i fichi d’india ad una lira ognuna. Mez’ o chian’ , a la lampia d’ p’trella, n’chiazza, a via 20 settembre –v’cin’ o’ caut’- si trovavano intere cassette di fichi d’india con il venditore che, pronto con il coltello ben affilato, sbucciava con grande maestria gli spinosi frutti e li porgeva a chi si fermava per gustarne qualcuno o per portarli a casa in un piatto di cui era già provvisto.

Per le strade non c’erano tanti pericoli e timori, non c’era traffico e motorini impazziti, non giravano tanti stranieri e tutte le facce dei paesani erano ben note, per cui era molto difficile che qualcuno sfuggiva alla giusta punizione per una cattiva azione. C’era rispetto per le persone adulte e, di più, per gli anziani; nessuno di noi rispondeva male ad un anziano che interveniva per uncomportamento scorretto o incivile e se ciò avveniva e i genitori ne venivano a conoscenza erano guai seri e i ceffoni non si contavano.
C’era rispetto per i vigili urbani che, all’epoca, facevano il proprio dovere e svolgevano anche un ruolo educativo per noi ragazzi. Ci venivano insegnati dalla famiglia, dai maestri, dai vicini di casa e anche dagli amici, valori importanti per la vita civile e sociale, e soprattutto, queste azioni venivano rafforzate dai genitori e non vanificate come spesso avviene oggi con la mania protettiva e garantista anche quando i ragazzi sono arroganti, maleducati, incivili.

Si mangiava pane e olio, pane olio e aceto, pane zucchero e olio, pane e mela o arancia, pane e pomodoro e nessuno si permetteva di dire “non mi piace”, si rischiava di saltare il pasto. Invece si gustava con particolare voglia e appetito quel pane e olio quando dopo aver giocato, stanchi e accaldati si correva a casa e si gridava con gioia “Ma’, famm’ u pan’”. Era il tempo in cui noi ragazzi avevamo sempre torto e se a scuola capitava qualche votaccio, aspro rimprovero e qualche bacchettata, non ci si poteva neanche lamentare a casa perché si prendeva il resto e si doveva spiegare se era stata trascuratezza, distrazione in classe o maleducazione.

Comunque l’atteggiamento dei genitori era quello di responsabilizzare, di educare al rispetto delle persone e delle regole e non di giustificare e difendere sempre ed in ogni caso. Si facevano i compiti e si facevano bene per motivi diversi e tutti importanti. La scuola e
l’istruzione, per i genitori era un impegno serio e guai a disobbedire, bastava un’occhiata e si rigava dritti. Per essere soddisfatti e contenti ci bastava poco, ma con quel poco si viveva un ambiente di familiarità, di amicizia, di lealtà, sincerità e solidarietà che rendevano l’esistenza più spensierata e gradevole. Che mondo ragazzi. Che bellissimo mondo, se si considera come è diventato adesso.

Non so giudicare quale sia migliore quel mondo che in mezzo secolo abbiamo radicalmente mutato oppure questo che abbiamo sotto gli occhi. Ci dovremmo, però, chiedere, senza infingimenti com’erano i ragazzi cinquant’anni fa rispetto a quelli di oggi: se più o meno educati, con più o meno senso del dovere, con più o meno rispetto degli altri, più o meno obbedienti, più o meno rispettosi delle regole, ecc... Però, quando eravamo ragazzi, più di mezzo secolo fa, con quei giochi semplici, costruiti con le nostre mani, preziosi perché ci costavano impegno, fatica e fantasia, eravamo felici e soddisfatti, spensierati e spontanei. Non so se i nostri ragazzi godono la stessa felicità spensierata e le stesse spontanee soddisfazioni.

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