Io, noi e la casetta

    Se vi dicessi che da quando è nata questa rubrica, questo appuntamento del lunedì sulle pagine del nostro portale, ci arrivano lettere e segnalazioni da ogni parte del mondo, ci credereste? Se la risposta è no, fate bene a pensarla così. I commenti però arrivano, lo fanno da ogni angolo del “nostro” mondo, dalle mura di San Nicandro Garganico.

    Complimenti, pareri positivi, ma anche note di disappunto in un paio di occasioni da parte di lettori abituali. Qualunque sia la replica ad ogni singola parola letta tra queste righe, il risultato va interpretato come un qualcosa di positivo: avere una reazione, uno spunto di riflessione o rimettere in discussione una propria convinzione, significa non destare indifferenza, significa risvegliare parti sopite che albergano nel nostro animo, di lettori prima, di essere umani poi.

    Dissertando su questa rubrica, non più di qualche ora fa, il nocciolo della questione è ricaduto sul fattore “tempo”. Il lettore impiega cinque, forse dieci minuti, nel leggere le 750 parole che compongono la rubrica, il sottoscritto ne impiega due di ore per metterle in riga. Lettore e scrittore sono spesso personaggi di un gioco di ruolo dove entrambi interpretano alla perfezione le parti.

    Come quando guardi un illusionista, sai che il suo trucco non è fatto di vera magia, ma se vuoi goderti lo spettacolo devi lasciarti trascinare nel suo mondo, senza neanche cercare di capire, così accadrà oggi per me. Quello che leggerete non è scritto dalla mia penna, ma da quella di un lettore. Non so se, consciamente o inconsciamente, sia stato ispirato dalla lettura di queste pagine: a me piace non avere risposta. Oggi starò dall’altra parte di quella barricata invisibile che divide le parti e, nella speranza di non risultare affetto da passatismo, sono sempre più felice che accanto a un “io”, cominci a seguire un “noi”.

“Sempre più spesso arriviamo a un punto della nostra vita in cui non ci basta più niente, forse nemmeno il mondo che ci circonda. Vogliamo viaggiare, vivere la nostra realtà per poi conoscerne di nuove – belle o brutte che siano –, vogliamo incontrare nuove persone e visitare nuovi luoghi.

Tutto ciò è normale. È naturale che si vogliano fare nuove esperienze, ma a volte finiamo per perdere il senso di ciò che siamo e cosa vogliamo realmente.

Per ritrovarlo occorre scavare a fondo, quando avevamo da poco superato un lustro di vita. A quell'età tutto ci sembrava troppo grande, perfino casa nostra, anche se tutto sommato era alquanto modesta. 

Avevamo l'abitudine di costruire piccole casette con oggetti trovati per strada. Per me, più che casette, erano dei veri e propri rifugi. 

Anche se fuori era inverno inoltrato, ci sembrava di stare al caldo lì dentro. Avevamo poche, indispensabili cose, perlomeno per la vita di un bambino: riviste per ammirare i nostri idoli e i giochi che amavamo, tutto il resto era pura fantasia.

Il mondo segreto di tre o quattro bambini racchiuso in poco più di un metro quadro. Era il massimo!

Crescendo abbiamo dovuto mettere da parte quel mondo. Abbiamo dovuto confrontarci con la realtà che ci ha riservato belle e spiacevoli esperienze, facendoci dimenticare quanto era bella l'immaginazione.

Quello che stiamo davvero cercando, oggi, si nasconde dentro di noi. Si nasconde perché si vergogna di essere stato dimenticato, abbandonato. Crede di essere inutile e si starà chiedendo perché stia ancora lì dentro.

Il nostro compito è quello di trovarlo!

Dobbiamo costruire una casetta per bambini dentro di noi e metterci al suo interno tutto ciò che ci è indispensabile per sognare.

Quando il nostro io più profondo la rivedrà fiorire nei pressi dell’anima, tornerà con grande gioia nella nuova casetta per riavere finalmente il suo favoloso rifugio.

Non ci intaccherà più ciò che succede fuori perché dentro quel metro quadro saremo al sicuro.”

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