Shabbare a San Nicandro

Shabbare a San Nicandro Garganico

Già da qualche anno, nel nostro paese, alcune ammirevoli esperte del settore restauro hanno intrapreso un nuovo metodo di lavoro: lo Shabby. Del significato di Shabby si parla molto, ma non tutti sanno realmente come si possa concretamente tradurre negli spazi delle nostre case.

É uno stile di vita, di arredamento, e di moda che rivaluta ciò che è vecchio in chiave romantica e molto chic. Chic significa elegante. Al contrario, il termine inglese Shabby (che si pronuncia “sciabbi“), significa letteralmente trasandato, sciupato, rovinato, trascurato, malandato, logoro, usurato, invecchiato, squallido. Lo stile in parola valorizza o simula sapientemente l'usura del tempo sui mobili e sugli oggetti, come se questi fossero stati recuperati dalla soffitta e utilizzati senza un restauro. Per siffatta ragione, si parla di un effetto volutamente invecchiato ed usurato. Non è un caso che il termine Shabby si accompagni all'aggettivo chic. Lo Shabby Chic è uno stile di design degli interni in cui mobili, accessori e arredi sono scelti per il loro aspetto trasandato e consunto, che può essere autentico o frutto di un'apparenza realizzata intenzionalmente. Il colore utilizzato è sbiadito e “polveroso”: nel tipico mondo cromatico dello Shabby Chic non c’è posto per i toni sgargianti, mentre dominano le tonalità pastello e il riutilizzo di vecchi arredi tramite la tecnica del decapè. La peculiarità principale dei mobili così lavorati è l'effetto vissuto che viene realizzato artigianalmente. Mobili con graffiature, crepature, segni del tempo e volutamente anticati con una tecnica di pittura e un particolare trattamento che esalta l'effetto di usura sui mobili. Arredare in stile Shabby significa fare ricorso all’arredo d’epoca e alla tecnica del riutilizzo per trasformare lo spazio domestico in un ambiente molto diverso da quello moderno. Oggi questo stile deve principalmente la sua fama al trend del c.d. riutilizzo creativo, vale a dire il processo di trasformazione di prodotti e materiali di scarto in nuovi, percepiti di maggiore qualità. Nasce da qui il desiderio di trasformare quel vecchio e impolverato mobile trovato in cantina, o ereditato dalla propria famiglia, in un manufatto da valorizzare e rivivere. 

Storicamente, lo Shabby giunge in Italia alla fine degli anni ’80, quando Rachel Ashwell - identificata nell’immaginario collettivo come la sua ideatrice – iniziò concretamente a realizzare ambienti domestici a partire da mobili dimenticati e accantonati, con uno stile nel quale gli arredamenti hanno volontariamente un aspetto segnato dallo scorrere del tempo. Basta recuperare i mobili trovati nelle case di parenti o amici che non li utilizzano più, ma anche nei mercatini dell’usato, per poi trasformarli e rivalutarli. A volte attraverso un processo di laccatura, lucidatura o, di invecchiamento, con pitture dai toni opachi utilizzate ad hoc. Il valore spesso cresce con il grado di usura, e si affianca al tocco di un professionista che ha il compito di “shabbare” il manufatto, rendendolo più versatile nel contesto che si vuole ricreare. L’aspetto vintage - tuffo sentimentale nel passato - può dunque essere autentico o ricreato ad hoc. Quello che conta è l’effetto “vissuto”. Come se quel mobile avesse il compito di raccontare una storia, un percorso o un viaggio nel tempo. Perché questo stile di arredamento piace così tanto? Due sono le ragioni principali che caratterizzano il metodo di restauro in argomento: romanticismo e sostenibilità. La prima ha a che fare con il passato. Ovvero con la nostra storia, con il nostro vissuto, con la nostalgia, con la memoria, con i nostri sogni e l’immaginazione. Ad un certo punto della nostra vita, ci accorgiamo che noi tutti invecchiamo esattamente come i mobili, gli arredi e, acquisiamo la consapevolezza che la memoria e la nostalgia non sono più quelle di una volta. Avvertiamo l’esigenza di rinnovare i nostri ricordi, rivivendo con essi quelle emozioni che risultano affievolite. Tentiamo, in qualche modo, di far riemergere - dalla nostra ricerca del tempo passato - le storie offuscate. Ed è bellissimo vederle riaffiorare, dopo aver squarciato il velo della dimenticanza, tornando a riprovare sensazioni sotto rinnovata luce. In questo si palesa la vera anima dello Shabby. Gli anziani che cercano di rivalutare il loro vissuto mediante una rivisitazione di quelle emozioni giovanili le quali, molto probabilmente, non potranno più essere rivissute con lo stesso fremito, con la stessa intensità. In ogni caso è favoloso ricordarle. Tutto questo è romantico, ma è anche una specie di sogno. Come in fondo ci ha consentito di fare il romanticismo nella letteratura italiana con il suo massimo esponente, Antonio Fogazzaro, ed i suoi sublimi romanzi intitolati “Piccolo mondo antico” e “Malombra”. In Italia, tuttavia, il romanticismo fu un fenomeno di breve durata che ebbe la sua maggiore espressione nella musica, raggiungendo il vertice del successo popolare nel melodramma verdiano. Melodramma che – così come i film e le serie televisive poliziesche - affonda le sue radici nella musica, e nei cori, con la quale gli ellenici accompagnavano le tragedie antiche (tragedie di cui, sapientemente, lo scrittore sannicandrese Antonio Scalzi, ci ha illustrato nella sua prima opera letteraria, intitolata Meraviglioso Euripide). Al contrario, il romanticismo è stato un movimento anglo-americano molto prolifico nel mondo tanto letterario quanto cinematografico (Casablanca, Il grande Gatsby, Colazione da Tiffany, Tutti insieme appassionatamente, Il laureato, Vacanze romane, ecc.). Per cui è naturale che la nascita dello Shabby sia avvenuta in America. In molte delle citate opere, il tema dominante riflette l'esperienza di tutti coloro che non si erano riavuti dal colpo della guerra. È struggente la nostalgia e con essa il desiderio di rivivere un mondo, ante guerra, che ormai non esiste più. Si immagina di vivere ancora in una specie di realtà bucolica. Appunto, romantica. Il termine bucolico deriva dal greco e significa pastore, mandriano, bovaro. Si vagheggia un ambiente naturalistico in cui domina la pastorizia e l’agricoltura. Tale termine, insieme alle reminiscenze storiche dell’opera del poeta latino Virgilio, ci conduce nella seconda motivazione caratterizzante il piacere dello Shabby: la sostenibilità. Tutti noi, nel nostro piccolo, dovremmo fare qualcosa per salvare il piccolo pianeta dove viviamo. Va bene il romanticismo, ma è molto meglio calarsi nella crudezza della realtà e cercare, qualche volta, di essere più realisti del re. Qual è il nesso con simile tecnica di restauro? È presto detto. È innegabile come lo Shabby, in quanto stile profondamente legato alle logica del riuso e del recupero, sia perfettamente in linea con i principi propri della micro-economia sostenibile. Nel momento in cui decidessimo di far shabbare un mobilio, e quindi di riutilizzare un vecchio manufatto (non acquistandone uno nuovo), nello stesso tempo avremmo deciso, senza magari esserne neppure perfettamente consapevoli, di non mobilitare altre risorse naturali, nel caso di specie il legno, evitando il taglio di altri alberi che producono ossigeno vitale per la vita sulla Terra. E tale scelta, anche se rappresenta una piccola goccia d’acqua in un oceano, tuttavia deve inorgoglirci, poiché in qualche modo saremmo riusciti a fare qualcosa di estremamente positivo a beneficio di tutta l’umanità. Possiamo esserne fieri. Il mondo bucolico è stato distrutto dall’uomo. Destandoci dal sonno, ci accorgiamo che gli oceani sono un ammasso di plastiche; il cielo è inquinato al punto da provocare forti cambiamenti climatici; la siccità è una triste realtà che, in primo luogo, grava sull’agricoltura. Ma finirà per impattare su tutti gli altri aspetti della nostra vita, in particolare sulla sanità. Molte specie animali si estinguono. Giorgio Albertazzi, prima di morire, ci ha ricordato che “l’uomo ha perso l’orientamento”. L’aveva già detto Amleto, molto tempo prima: “il mondo è fuori dei cardini”. Siamo rimasti sordi? Non vogliamo ascoltare la bellezza? Gli sguardi dei bambini, le mani tese dei bambini, che noi amputiamo col macete. Una delle più grandi rivoluzioni della storia del novecento, quella del femminile, della sua emancipazione, allorquando la donna si libera del servaggio, si libera da una famiglia, poi dalla seconda famiglia e dice la sua. E come la dice? La dice con la bellezza. Con l’intelligenza del corpo. La donna ha l’intelligenza del corpo. Come dice Borges: ha l’incedere, la grazia. Non è maschile, la grazia. Questo fa la donna. Ed è una straordinaria mutazione genetica, che potrebbe diventare fondamentale. Ed il maschio come reagisce? Uccidendola. Con il femminicidio. Non ce la fa. Difende chissà che cosa. La sua paura. Il maschio uccide per paura. Allora c’è bisogno di una specie di mutazione vera, di metamorfosi. Dobbiamo diventare qualche altra cosa. Dobbiamo essere noi a spalancare gli occhi, aprire il cuore. Dobbiamo cercare negli animali, che piangono sulla tomba del padrone. Sembra di fare un passo indietro, invece no. È un passo enormemente in avanti se rispetteremo gli alberi, gli animali, i cani, i cavalli, le pantere. Magari iniziando a prendere atto che sono state le donne a portare in S. Nicandro lo Shabby. In ultimo, si intende rivolgere un suggerimento al nostro amico Emilio Panizio, affinché valuti la possibilità di organizzare un corso di Shabby allo Skiapparo, con il contributo sia della fidanzata dell’avvocato, sia degli amici milanesi, di Lidia in particolare. Sull’Istmo, nelle case abbandonate e non, si possono trovare dei mobili vecchi da shabbare. Non buttate i vecchi arredi, appartenuti, un tempo, ai vostri genitori, ai vostri nonni o ai bisnonni, perché essi - conservando un valore affettivo, sentimentale, emozionale – ancora oggi hanno una storia da raccontare. Agli oggetti, così come agli arredi, è affidato anche il compito di evocare esperienze e bei ricordi. Avere dei legami con le proprie radici è particolarmente importante. Da qui - pure nell’ottica della sostenibilità - la buona pratica del rinnovare vecchi mobili, che magari appartengono alla propria famiglia da più di una generazione.

              Francesco Sticozzi                                                                     

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